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San Giovanni a Piro e il Golfo di Policastro
LA STORIA DI SAN GIOVANNI A PIRO

Italia
All’estremità meridionale del Golfo di Salerno si delinea, con una forma  trapezoidale, la terra del Cilento. Le zone montuose, spesso impervie e selvagge,  ne rappresentano lo scheletro orografico,  i tanti paesi,   ricchi  di  storia e di  arte, la linfa vitale. Non vi è contrada cilentana che non abbia avvenimenti da raccontare, tradizioni da mostrare, storie da far rivivere. Mulattiere, scale, ricoveri,  muri di sostegno  e una serie interminabile di coperture con spioventi e tegole laterizie  disegnano luoghi dove l’uomo e la natura sono perfettamente  integrati fra loro.  Nel basso Cilento San Giovanni a Piro è uno dei tipici, piccoli  centri, un angolo di mondo  dove un carattere di compattezza contraddistingue la struttura urbana. L'agglomerato urbano, stretto in un unico abbraccio per evidenti scopi protettivi, erige le sue case quasi l'una sull'altra  in un disegno edilizio fatto apposta per restare uniti nell’ora del pericolo. Lungo stradine acciottolate  e stretti passaggi che sfuggono in mille direzione il nucleo abitativo " eleva i suoi comignoli fumiganti nell'azzurro terso del cielo".
Con questa citazione ci piace ricordare l'opera "Il Cenobio Basiliano di San Giovanni a Piro", scritta nel 1960 da Ferdinando Palazzo, che, con estrema scrupolosità e ardente passione,  ha garantito alle generazione  future un imperituro ricordo di tutto ciò che accadde  alle falde del monte Bulgheria  intorno all'anno mille. Corre l'obbligo di ringraziare, inoltre, Angelo Guzzo, autore di tante opere sul Cilento. In questa sezione storica ci siamo appropriati più volte di sue espressioni, perché ben rappresentano le bellezze della nostra terra.

LA POPOLAZIONE BULGARA
Monte Bulgheria
Il  ciclopico monte di Bulgheria domina  e protegge,  con  la  sua  mole  il Ceraseto, il luogo delle memorie e dei culti antichi  del paese, il  cuore di una civiltà  sopravvissuta alle orde barbariche, ai saccheggi e alle devastazioni. Qui, dove il declivio diventa più dolce,  i ruderi sparsi del celebre Cenobio, intitolato a San Giovanni Battista, sembrano raccogliere, come parlanti reliquie, le testimonianze dei secoli andati.  Il monte  Bulgheria pare abbia preso il nome da una colonia di Bulgari stanziatasi in questo estremo lembo del Cilento intorno al 670 d.C. I Bulgari, originari dell’Europa centro-orientale, arrivarono in Italia fra il IV e il IX secolo. Giunti nei pressi di Capo Palinuro, occuparono le falde del Monte Bulgheria entrando per la gola della Tragara, unica via d’accesso all’entroterra. Si adattarono in un primo tempo nelle grotte del monte, successivamente, sulle colline e sulle alture, dando origine a borghi e villaggi. Nonostante avessero trovato l’Italia in condizioni deplorevoli per le funeste conseguenze delle invasioni barbariche, della peste e della carestia  si fermarono nelle nostre regioni. La ragione del loro insediamento in questi luoghi fu soprattutto quella di popolare e porre a coltura terre deserte abbandonate.

I MONACI BIZANTINI TRA IL VIII E IL XI SECOLO
Tra il IV ed il IX secolo il Sud e, in modo particolare il Cilento, lungo la costa si presentava  pressoché disabitato. Le incursioni dei pirati saraceni avevano creato un grande vuoto e soltanto all’interno,  aggrappati  alle  rocce,  sospesi  sulle  colline  esistevano villaggi e piccoli centri  La ripresa sul territorio ebbe come protagonisti proprio i centri monastici, da cui partirono le opere di bonifica, di messa a coltura dei campi e la formazione di piccoli villaggi agricoli che avevano il compito di assistere viaggiatori, mercanti e pellegrini, oltre che incrementare il lavoro, il reddito e la popolazione. Queste famiglie religiose furono uno dei più potenti elementi di diffusione della lingua, del rito e della cultura bizantina, tra l'VIII ed l' XI secolo. Erano monaci che prendevano ispirazione per la loro vita religiosa dagli scritti ascetici e teologici di S. Basilio. La loro attività andava dalle  opere  di agricoltura, alla  trascrizione  dei codici,  allo  studio e alle discussioni teologiche. I monaci, convinti della transitorietà della natura umana, si sentivano estranei alle loro stesse abitazioni, per questo motivo i loro monasteri erano poveri e disadorni, per niente assimilabili alle moderne strutture religiose.  I cenobi più piccoli erano chiamati  celle o eremiti, denominazioni passate poi, a dare il nome ad alcuni paesi, come Celle di Bulgheria ed Eremiti. Nei cenobi  la  vita si svolgeva  facendo ogni sorta di lavoro. L'opera dei monaci basiliani fu imponente. Resero fertili  zone selvose, fecero piantagioni, costruirono frantoi e mulini, ripararono strade, bonificarono zone allagate dalle acque, costruirono villaggi agricoli destinati a svilupparsi in importanti centri urbani. Nel 990 d.C. fondarono a S. Giovanni a Piro l’Abbadia di S. Giovanni Battista.

TRACCE DELLA VITA BASILIANA
I   frati  basiliani,  dopo   aver  eretto   il   nuovo  Cenobio, dovettero ben presto badare alla propria sicurezza, in quanto, per l’assoluta impossibilità di difesa, nulla  avrebbero  potuto fare contro eventuali  incursioni e attacchi da parte della pirateria barbaresca. Nella parte occidentale dell’Abbadia, a qualche metro di distanza dall’annessa chiesa,  fu  costruita dunque,  a  scopo di difesa e di avvistamento sul mare, una massiccia torre merlata dell’altezza di circa 20 metri. Di queste  costruzioni esiste intatta la chiesa ed in ottime condizioni la torre, mentre del convento rimangono solo pochi ed informi ruderi, dai quali non traspare alcuna traccia dell’antica gloria. Sia la chiesa che la torre, per maggiore sicurezza in caso di pericolo, erano collegate, probabilmente attraverso un lungo camminamento sotterraneo, ad una grotta nel fianco orientale del Monte di Bulgheria. Esistono tuttora, in questo luogo, resti di antiche costruzioni murarie erette a scopi protettivi. Dell’esistenza di tale rifugio si ha testimonianza in una delle norme contenute negli Statuti del Gaza, con la quale viene imposto all’Università del casale di S. Giovanni a Piro di ricompensare il guardiano della grotta. Il Palazzo ci parla, inoltre,di una cripta sotterranea che, forse, veniva impiegata per la celebrazione di alcuni riti, la quale aveva sul muro del lato nord le tracce di un'antica apertura, cosa questa che accredita l'ipotesi secondo la quale la chiesa sarebbe stata collegata alla grotta. Tale  ipotesi, però, non ha potuto trovare conferma per l'ignoranza del clero che, dopo averla divisa  in settori, fece di detta cripta delle macabre fosse carnaie, che andarono in disuso solamente nel 1936, quando fu posto in esercizio il nuovo cimitero.   Solo recentemente, per interessamento e su proposta dell’Ispettore Onorario alle antichità e ai monumenti storici del Golfo di Policastro, prof. Angelo Guzzo, il Cenobio e l’area circostante sono stati sottoposti a vincolo monumentale dalla Soprintendenza ai BAAAS di Salerno.

LA FIGURA DI TEODORO GAZA E I SUOI STATUTI
Teodoro Gaza
Teodoro Gaza, nacque a Tessalonica, nel 1398.  Chiamato dal cardinale Bessarione arrivò a S. Giovanni a Piro nel 1462 e, proprio grazie alla sua spiccata personalità e ai suoi studi, l'Abazia ebbe un nuovo assetto e nuove normative.  Il 7 ottobre  del 1466, dopo  quattro  anni   di duro  lavoro, durante  i  quali si era valso dell’aiuto di esperti giuristi, compilò gli  “Statuti” o “Capitoli” della terra di S. Giovanni a Piro. Un piccolo codice, composto originariamente da 49 articoli, che regolava i rapporti tra il Cenobio e il casale di S. Giovanni a Piro. Presentava norme di diritto Civile, Penale, Amministrativo e di Pubblica Sicurezza ed altri regolamenti per la tutela della  proprietà e dell’amministrazione della giustizia. Si dovette, però, aspettare il 1520 per conferire forma pubblica agli "Statuti del Gaza" che, nella stessa data, vennero anche accettati e sottoscritti dagli esponenti politici del luogo. Il Gaza durante il suo mandato viaggiò molto, ma i suoi ultimi giorni trascorsero, dice il Palazzo, “nella verde oasi e nel mistico silenzio delle sacre mura  che lo avevano accolto e confortato dopo il suo lungo peregrinare”. Si spense nel 1475 e fu seppellito nella chiesa del Cenobio di S. Giovanni  Battista, come attesta una lapide di marmo. Il Cirelli autore del “Regno delle due Sicilie descritto ed illustrato” a proposito degli “uomini distinti” cita “Primo tra tutti per tempo e per sapere (...) Teodoro Gaza, uomo di greca eccellenza, di cui tutti sanno”. I cittadini di S. Giovanni a Piro, ad imperitura memoria, hanno dedicato al Gaza  la Scuola Media Statale, una via ed un piazza nei pressi della Chiesa Parrocchiale di S. Pietro Apostolo.

ASSALTI DEI PIRATI TURCHI
Nel XVI secolo S. Giovanni a Piro, al pari dei vicini centri costieri fu a lungo perseguitato dalle continue e martellanti scorrerie dei pirati. Una prima terribile incursione il borgo la subì nell’agosto del 1533 quando  fu assalita dal corsaro turco “il Giudeo”, agli ordini di Khair-ed-Din Barbarossa. Il corsaro sbarcò alla Marina dell’Oliva, odierna Scario, uccidendo e facendo schiave circa ottanta persone. I Padri Basiliani, in seguito  alla terribile incursione, in comune accordo con i cittadini e gli esponenti dell’Università di S. Giovanni  a Piro, ritennero opportuno  cingere di mura tutta la zona che conteneva il complesso abitato. Il paese subì un’altra incursione nel 1543, come leggiamo da un’ordinanza dell’abate De Tommasi che incriminava il custode della torre per aver trascurato i suoi doveri e aver permesso che i Turchi  facessero schiave sei persone del posto.
Una sciagura ancora peggiore si abbattè su S. Giovanni a Piro la domenica del 10 luglio 1552. Il corsaro turco Dragut  Rais Bassà sbarcò alla Marina dell’Oliva con 123 galee  assalendo nello stesso tempo Vibonati, S.Giovanni a Piro, Bosco, Torre Orsaia, Roccagloriosa.

ULTIME VICENDE
Nell’anno 1561 l’antico Cenobio si presentava ormai  in completo  sfacelo, in  pieno  abbandono  e quasi deserto. Venuta meno la funzione di centro ascetico e culturale, il Cenobio basiliano passò, nel 1587, a far parte, insieme con altri monasteri ed abbadie del Meridione, del ricchissimo patrimonio della Cappella Sistina di Roma. Fu incaricato per l'amministrazione dell'Abbadia   il vescovo di Policastro, Mons. Ferdinando Spinelli. Decisione, questa, sicuramente non saggia se si pensa che di lì a poco  i conti Carafa della Spina, signori di Policastro, si appropriarono di quelle terre stabilendovi  la propria dimora. Il vasto territorio di S. Giovanni a Piro divenne ben presto  un vero e proprio feudo diocesano con indebiti arricchimenti e con oppressioni  e  soprusi di  ogni genere. Le autorità civili del paese, insieme ai privati, denunciavano tutti i soprusi commessi dal conte e dalla contessa di Policastro nei confronti dei cittadini, chiedendo a Roma di intervenire. Finalmente, dopo anni di indifferenza e di inerzia, raccolte le suppliche e le lamentele dei cittadini e di cospicue personalità di S. Giovanni a Piro, il Consiglio d’Amministrazione della Cappella Sistina incaricò di far luce sulla questione l’avvocato Di Luccia, conferendogli regolare mandato. Il giurista accettò di sostenere le ragioni dell’Università di S. Giovanni a Piro riuscendo  a porre nel giusto risalto la gravità della situazione e le indebite appropriazioni dei conti Carafa di Policastro. Dal 1700 nessun’altra notizia si ha più della gloriosa Commenda Basiliana. S. Giovanni a Piro incominciò il suo ritmo normale di vita, con amministrazione propria ed in conformità delle norme legislative che venivano man mano evolvendosi. Per la ristrettezza dei mezzi economici, ma specialmente per la disagevole posizione topografica, il piccolo centro camminò assai lentamente sulla via della civiltà e del progresso. Contribuirono a rallentargli  il passo altre tristi vicende che  si abbatterono con particolare violenza sull’intera regione. Nell’anno 1656 nel Regno di Napoli infierì orribilmente la peste che, dalla capitale, si estese rapidamente nel Salernitano e nel Cilento mietendo migliaia di vittime. Un secolo più tardi, il paese fu spietatamente decimato dalla carestia, che si ripeté, con conseguenze ancora più disastrose e mortali nell’anno 1817. Nell’anno  1806  agli  eventi  naturali si aggiunse, poi, la mano dell’uomo. Arrivarono in paese le truppe di Gioacchino Murat, che si scatenarono contro il Santuario  di   Pietrasanta, avendolo scambiato per una fortezza  .

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